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Beni materiali e immateriali

Ho una nuova idea riguardo al diritto di copia (“copyright”).

Continuum di beni, dal servizio puro al bene materiale puro; dall'"insegnamento" al "sale"

Rileggendo il primo pezzo noto che c’erano già i semi di ‘sta roba. Le idee non sono beni materiali. Il contenuto di un libro, la musica, i video, i software sono soprattutto idee, sono immateriali. Il diritto di copia ha senso con la stampa. Fine. Il diritto di copia regola la stampa dei libri, che sono beni materiali relativamente semplici da capire: un libro o è mio o non lo è. Come una seggiola: ha un peso, delle dimensioni, è “unica” (non facilmente riproducibile). Il contenuto di un libro non è una seggiola, è un’idea. Nel momento in cui la diffusione del contenuto di un libro è slegata dalla stampa, è impossibile, assurdo e sbagliato usare le stesse leggi per regolarla. Due osservazioni m’hanno portato qui. Primo, notare che il software commerciale viene “concesso in licenza”, non venduto. Chi crea software per profitto, non vende seggiole, ma vende il diritto ad utilizzare (installare, archiviare…) il software; almeno dagli anni ’80. Microsoft non vi vende una copia di Windows, vi vende una licenza (una chiave di attivazione): sono concetti completamente diversi. Secondo, Spotify e Netflix hanno molto successo e non vendono seggiole, ma vendono il diritto a sentire musica o vedere video. Dimostrano che nell’epoca deì pokécom (“pocket computer”, volgarmente detti “smartphone”) connessi ad Internet, vendere musica/video come fossero seggiole è impossibile, talmente impossibile che i colossi non vendono seggiole. Il successo di Spotify/Netflix dimostra che parlare di “furto” nei casi di copie illegali è una stronzata. Quindi, mi potrebbe star bene un copyright di 30 anni dalla pubblicazione/creazione (assolutamente da abbandonare l’attuale schifo dei 70 anni dopo la morte), ma solo per beni materiali non facilmente riproducibili. Quindi dipinti, libri, vinili, robe che hanno un peso e delle dimensioni, come le seggiole. Il contenuto di un dipinto, di un libro, o una musica, sono idee e vanno vendute come servizi. Oppure, ancora meglio, riprodotte e condivise all’infinito sull’Internet ;)

Questo non affronta la questione del compenso degli autori, che mi aveva portato a scrivere il secondo pezzo. Non importa: nel mondo attuale è impossibile vendere idee come fossero seggiole. Punto. Non sono io a dover garantire un reddito agli autori, sono loro che devono trovarselo. Controbattere alla mia critica della legislazione attuale tirando in ballo autori e compensi è come controbattere a chi dicesse “con l’automobile i cavalli non hanno più senso” con “e allora i cocchieri? e gli allevatori?”
Infatti stanno esplodendo i video monetizzati, i podcast e liberapay (e Patreon e le altre piattaforme di remunerazione dei creatori). Spotify (e gli altri distributori) ha TUTTO l’interesse a togliersi le case discografiche dai piedi, accorciando la filiera: dal creatore al distributore. Discorso simile per i contenuti creati direttamente da Netflix.

SHARING IS CARING

[Per la cronaca, ho l’atroce sospetto che diventerò dipendente dell’ottima enciclopedia Treccani.]

Pagine utili

Stamattina sono uscito a correre

Stamattina sono uscito a correre.
Stamattina sono uscito a correre; alle 7, solo, lungo una strada di campagna che porta a 4 cascine e termina nel nulla.
Stamattina sono uscito a correre, forse non ho nemmeno infranto l’ordinanza del Ministero della Salute (sicuramente non l’ordinanza del Sindaco, né l’ordinanza del Governatore Marlboro della Regione): dipende dall’interpretazione di “… ludica … ricreativa … motoria … nei pressi” (Art. 1, 1 b).
Stamattina sono uscito a correre, perché ne avevo voglia, mi fa star bene e non rischio di contagiare nessuno né di essere contagiato.
Stamattina sono uscito a correre, perché forse siamo pericolosamente vicini al momento in cui il Grande Fratello ci istruirà sul fatto che “2 + 2 = 5”, che sarà vietato uscire di casa, che uscire di casa è pericoloso.
Stamattina sono uscito a correre, alle 7, solo, lungo una strada di campagna che porta a 4 cascine e termina nel nulla; e continuerò a farlo.

Carovanirus dell’ammore

53 kilo of meters!!! CINQUANTA TRE MILA metri!!!

Itinerario Leno-Montenetto in bici

Itinerario Leno-Montenetto in bici

Itinerario Montenetto-Brescia-Fornaci-Leno in bici

Itinerario Montenetto-Brescia-Fornaci-Leno in bici (perché OVVIAMENTE OSM non ha un pezzettino di strada sul Montenetto, e comunque è impreciso perché abbiamo fatto vari sensi unici contromano, ma OVVIAMENTE i crucchi non concepiscono questa possibilità…)

Intelligenza artificiale e significato dell’essere umani

È una trappola: non parlerò dell’interazione fra i temi del titolo :P

Scott Alexander racconta sul suo sito Slate Star Codex di come GPT-2 abbia imparato a giocare a scacchi. GPT-2 è (più o meno) il sistema attualmente più convincente nel prevedere/generare testo. È un’intelligenza artificiale che va addestrata con enormi biblioteche di esempi, quindi diventa in grado di produrre scritti verosimili a partire da titoli/domande. Qualcuno ha notato che è possibile “scrivere” una partita di scacchi con una notazione standard per descrivere ogni mossa, tipo “e2e4” significa “muovi il pedone da E2 ad E4”. Una cosa tira l’altra, e Shawn Presser è riuscito con un po’ di modifiche a produrre una versione di GPT-2 che gioca a scacchi. Questo dimostra che Shawn Presser è bravo e GPT-2 è molto potente. GPT-2 è intelligente?

Riguardo la seconda metà del titolo, ho scorso sommariamente un pezzo dal titolo “La tecnologia ci darà presto un controllo preciso sui nostri cervelli e geni“. Sono pronto a scommettere 100€ che fra 30 anni NON saremo in grado di cambiarci il DNA come descritto. La mia critica principale però è al tema centrale: cambiare DNA e agire (con impianti elettrostimolatori e altre amenità) sul cervello significa cambiare la nostra mente. E quindi la nostra identità. E questo sarebbe qualcosa di epocale. Beh, no: sono secoli che modifichiamo, sempre più pesantemente, i nostri corpi E DI CONSEGUENZA LE NOSTRE MENTI, e con esse le nostre identità. Mi pare che stiamo gestendo brillantemente la questione. Il pezzo fa ipotesi buffe tipo “la tecnologia X potrà curare la depressione, ma contemporaneamente cancellerà alcuni tratti della tua identità, per es. la tua melancolia; userai la tecnologia X anche se cambierà la tua identità?” Aha: mi immagino il mare di depressi che tentenna, indeciso se curarsi o no… Un esempio che mi pare molto chiaro è quello delle protesi: scommetto 10’000 euro che la stragrande maggioranza (+75%) delle persone che potranno usare la tecnologia X per riavere un arto la useranno SENZA MINIMAMENTE PREOCCUPARSI DELLA PERDITÀ D’IDENTITÀ. Mi sembra che l’articolo, molto lungo, perda tempo a riflettere su questioni che 1) non sono nel futuro, ma sono già presenti ora e 2) sono praticamente irrilevanti.