Nel precedente intervento elaboravo il concetto “il diritto di copia è tecnologicamente antistorico e normativamente osceno”, e la proposta “dovremmo abbandonare il diritto di copia”. Affrontando la questione da un diverso punto di vista, quello economico, giungo a una proposta diversa.
Ritengo che la speranza di ricchezze ottenute dalla vendita di copie abbia stimolato autori a produrre opere, arricchendo così l’umanità. A questo punto, abbandonare il diritto di copia significherebbe “gettare il bambino con l’acqua sporca”. Quindi la Cosa Giusta™ da fare sarebbe riformare il diritto di copia, limitandone la durata, così gli autori continuerebbero ad avere il giusto stimolo a produrre opere e la comunità (dopo un po’ di tempo) avrebbe la giusta libertà di utilizzo delle stesse.
Ulteriore elemento da considerare è l’idea “l’unico modo per creare è copiare”, una possibile parafrasi di “Everything is a remix”. A questo punto, l’unica soluzione, forse un po’ DemoCristiana, è quella suggeritami da Dario e Alan: l’applicazione del diritto di copia dev’essere qualcosa di fluido. Deve esserci, per stimolare gli autori, ma non deve impedire loro di “ispirarsi” alle opere altrui.
Forse.