Santi Numi!

Da qualche mese, grazie al consiglio di un amico, a sua volta consigliato dall’Algoritmo™ di youtube, ho iniziato ad apprezzare Mauro Biglino. È un esperto traduttore di aramaico e altre lingue bibliche. Mauro sostiene che le traduzioni e le interpretazioni della Bibbia fatte dalla Chiesa Cattolica siano sbagliate, frutto della volontà di far emergere dai testi sacri il concetto greco (e attuale) di monoteismo, con un unico Dio onnipotente, trascendente. Concetti assolutamente (e dimostrabilmente) assenti nelle società che scrissero la versione originale della Bibbia. Mauro sembra anche interpretare alcuni passaggi come se YHWH (tipicamente tradotto con “il signore”) ed i mal’akhim (“angeli”) fossero alieni, forse provenienti dalla costellazione di Orione. I concetti e la pratiche religiose degli autori della Bibbia erano assolutamente diversi dal monoteismo e in generale da tutto il cristianesimo da circa 1700 anni a questa parte (concilio di Nicea I, 325 e.C.). Gli autori della Bibbia si comportavano circa come i loro contemporanei. Riguardo a quanto fosse pragamatica e per nulla fideistica (quindi lontanissima dal monoteismo cristiano) la religione romana, consiglio l’ottima serie in quattro puntate Practial polytheism. L’antico testamento parla di divinità e religione più o meno come ne parlavano i romani. La religione non era una cosa in cui si credeva, era un insieme di pratiche, gesti ripetuti in un rapporto contrattuale con le divinità: do ut des. Sacrifico l’animale giusto nel momento giusto coi gesti giusti, dicendo le frasi giuste, e vinco la battaglia, o concludo l’affare, o ho un raccolto abbondante. Altrimenti: carestia, pestilenza, sconfitta, pianto e stridore di denti. L’unica grande differenza è che gli autori della Bibbia si rivolgono solo a YHWH anziché all’intero Pantheon. Rimane da capire consa intendessero gli autori della Bibbia (e dell’Iliade) quando descrivono incontri faccia-a-faccia, risse, con le divinità. Erano letteralmente convinti che fosse possibile lottare con una divinità, in carne e ossa? Un’interpretazione super affascinante è quella descritta in The mind of the Iliad. L’idea è che il concetto di “sè” che usiamo sia moderno, che gli antichi non lo avessero, e interpretassero quello che noi chiamiamo “monologo interiore” (quando riflettiamo, pensiamo da soli) come una voce divina. Forse, se non hai il moderno concetto di “sè”, inizi a interpretare come divine un sacco di cose. È un’idea che mi affascina più dell’ipotesi aliena e seppur incredibile, è meno incredibile di quella di Biglino. Forse però vende meno libri…